100.000 gavette di ghiaccio

100.000 gavette di ghiaccio

Settembre 2, 2020 0 Di .

“100.000 GAVETTE DI GHIACCIO”
Nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, 100.000 soldati italiani rimasero intrappolati
nel gelo della tundra sovietica
Quella che era stata prospettata come una veloce campagna d’invasione all’insegna di “vedividi-vici” con rientro prima del cadere dell’inverno, si rivelò invece una trappola mortale.
Migliaia d’italiani con vestiario e scarpe inadeguate alle temperature rigide dell’inverno
russo, subirono severe forme di congelamento degli arti.
Il freddo fece il lavoro dei proiettili e la resistenza decisa a riprendere la propria terra a tutti i
costi inflisse pesanti perdite, riconquistando il terreno occupato centimetro dopo centimetro.
La maggior parte di quei 100.000 erano alpini. Non avevano scelto di andare al macello,
erano stati obbligati dalla chiamata alle armi. Affrontarono la situazione con coraggio e dignità
anche se coperti di stracci e tante domande insolute.
Uno dei più anziani tra questi alpini, conosciuti come “gavette di ghiaccio”, si chiamava
come me, Enrico Forti, ed era mio nonno, il padre di mio padre. E’ stato fatto prigioniero e liberato
solamente due anni dopo la fine della guerra. Mio nonno era un omone alto mt. 1.90 e pesava cento
chili. Quando tornò dalla prigionia pesava meno di sessanta chili ed era distrutto fisicamente. Non si
è più ripreso ed è morto qualche tempo dopo.
Un altro giovane alpino si chiamava Giuliano Podetti ed era un caro amico di famiglia. E’
passato a miglior vita qualche anno dopo la morte di mio padre. Il mio papà, a cui ero molto
affezionato, è deceduto mentre io ero già in carcere e non ho potuto nemmeno rendergli l’ultimo
saluto.
Li immagino tutti e tre su qualche nuvoletta nel cielo, seduti uno a fianco dell’altro, a fare il
tifo per me con sciarpa e berretto di lana (vergine chiaramente) con ricamata sopra la scritta “Forza
Chico”!
Da bambino rimanevo ad ascoltare Giuliano a bocca aperta, per ore, senza stancarmi, mentre
lui mi raccontava quella sua terribile avventura. Ero rimasto affascinato dal coraggio e dalla forza
d’animo, unite alla solidarietà, che permeavano la narrativa della sua storia.
A tanti anni di distanza sono diventato anch’io una gavetta di ghiaccio, lottando fino
all’ultima goccia do sangue per la mia libertà.
Non ho scelto questa situazione, eppure cerco di affrontarla con dignità come mi insegnò
Giuliano Podetti 40 anni fa.
A sostituzione del gelo e della steppa ci sono sbarre e catene, ed invece dei lupi, sono
circondato dalla popolazione più pericolosa d’America.
Qui dentro l’inverno è perenne, Il freddo ha congelato anche la primavera.
Ho finito cibo e proiettili e sto camminando nella neve alta con le ciabatte di plastica. Però,
come i vecchi alpini, non mollo!
Non mollo perché so che al di là di queste sbarre ci sono 100.000 gavette di fuoco che
cercano di sciogliere il ghiaccio che mi circonda, pronte a scongelare quella primavera che fa
capolino nell’oscurità. 100.000 gavette che vogliono riportarmi nella mia terra come uomo libero,
incuranti di quanto impervio sia il tragitto.
Giuliano riuscì a tornare a casa con l’aiuto di altri alpini che avrebbero scelto la morte
piuttosto che abbandonarlo.
Adesso sono io che ho bisogno del vostro sostegno. Mi rendo conto che da solo non ce la
posso fare. Con voi al mio fianco riuscirò, come nella tragedia greca, a baciare la mia Itaca.
Vorrei potervi leggere ad alta voce le tante lettere che ricevo quotidianamente. Lettere che
mi fanno sentire amato, rispettato ed onorato d’avere la vostra amicizia. Mi fanno sentire come
Ghandi e Mandela, senza alcuna presunzione d’emulazione, quando furono scarcerati. Mi fanno
sentire orgoglioso di essere italiano.
Noi italiani, ovunque ci troviamo, ci aiutiamo l’un l’altro, anche se l’altro non ha il becco di
un quattrino.
Gli alpini che sono sopravvissuti a quell’orrifica campagna, ce l’hanno fatta senza cibo e
senza scarpe. Usando solo la forza della disperazione, al limite dell’allucinazione, ascoltando la
voce interna che ripeteva loro: “Non mollare!”
E’ quella stessa forza che è dentro di me adesso. Le “voci” che sento non sono frutto
d’allucinazione. Ma i vostri caldi messaggi di solidarietà: “Forza Chico”, “Non mollare mai
Chico!”, “Sei italiano Chico, per questo ce la farai!”, “Sei innocente e lo dimostrerai!”…
Queste voci mi pervengono giorno e notte, sulla frequenza d’onda riservata al cuore degli
italiani. Si tratta di un messaggio via etere che non può essere bloccato dai trasmettitori-scanner
delle guardie, tanto meno da sbarre e catene!
Sono le vostre parole che mi tengono in vita.
Il contenuto delle vostre lettere mi fa sentire privilegiato anche nel terribile predicato della
mia convinzione.
Anche se privato della libertà, sono un uomo fortunato perché ho così tanti amici che
credono in me.
Devo ammettere che ho anche qualche nemico (li posso contare sulle dita delle mani!) ad
entrambi i lati dell’oceano. Codardi che hanno approfittato della mia incarcerazione e
“momentanea” impotenza, per trarre un vantaggio economico personale e malignarmi.
Purtroppo la vita è così. Quando cadi, c’è sempre qualche miserabile che cerca
d’avvantaggiarsene. Le iene non vivono solo nella savana africana. Queste “iene” però sono
circondate da decine di migliaia di leoni e leonesse che mi difendono con i denti e gli artigli.
Per quanto ci provi costantemente, non riesco a perdonare, però posso gettare il marciume
dentro il pozzo della mia indifferenza.
Per quanto ci provino non riusciranno a farmi venire “il sangue cattivo”.
Parafrasando, sono un po’ come Cecco Angiolieri e tengo vicino le persone che mi vogliono
bene e credono in me (le giovani e leggiadre…!). Non c’è spazio nel mio cuore per chi dubita della
mia innocenza.
Le quinte colonne sono sempre esistite nella storia, dal tempo di Gesù a Mandela, professati
amici poi rivelatisi Giuda Iscariota!
Basta poi una sola delle vostre lettere per rimuovere il marciume dalla mia mente.
Recentemente mi ha scritto Chiara Giovenzana, che con la sua famiglia si sta battendo per
me da oltre un anno. Voglio dividere con voi un passo della sua lettera che mi ha commosso!
“…ti dico di mio figlio Tobias perché ci sono un paio di cose nella sua vita che ti
riguardano. Quando arriva la sera non vuole mai andare a dormire, così gli ho spiegato che
quando arriva il buio, è notte e bisogna riposarsi. Il mostro mi chiede dove sia andato il sole…”.
Da Chico a Miami” gli rispondo. E lui “Ed io non voglio, digli di ridarci il sole!” .“Ma lui ci
manda le stelle e la luna…” E lui “ Allora va bene, ma solo fino a domani mattina…” E’ un modo
bello per averti nella nostra vita…”
Tante altre lettere, magari usando altre parole, mi hanno espresso affetto e solidarietà con
una passione che solo noi italiani sappiamo esprimere!
Il tempo che trascorro leggendo le vostre lettere e che dedico alle risposte, è sacro. Gli altri
inquilini sanno che quando leggo e scrivo non voglio essere disturbato. Negli altri momenti sono
disponibile ad aiutare anche Belzebù, sempre che lo chieda rispettosamente!. Da qualche giorno
sono stato trasferito in una cella più vivibile. Adesso risiedo nella 214 L (sempre H3), a pochi metri
dalla 212, però sufficientemente distante dalla parete ad uso forno per le pizze.
Il mio nuovo compagno di cella è un giovane americano di colore. Si chiama Ced, ma il suo
nome di battaglia è la lettera “C” che qui si pronuncia “Si”.
Ha 24 anni ed ha un “rap sheet” (la fedina penale in gergo) di sei pagine! E’ stato arrestato la
prima volta quando aveva 11 anni e stava vendendo eroina alle scuole elementari!… Per questo
ultimo caso gli avevano proposto un patteggiamento con una sentenza di venti anni. Lui ha rifiutato,
è andato al processo e gli hanno dato l’ergastolo! “Si” non fuma, non è un proselita della magia nera
o un fanatico religioso. Ama lo sport ed ascolta le notizie sportive alla radio tutto il giorno. E’
convinto che nella varie fasi d’appello riuscirà a riaprire il suo caso. Mi piace il suo entusiasmo, il
fatto che rimane positivo e che non si è dato per vinto. Non ha conosciuto i suoi genitori. La sorella
maggiore di nove anni lo ha cresciuto come ha potuto ed ancora adesso lo sta aiutando. Lui, in
cambio, darebbe la sua vita per lei. “Si” è contento d’avermi come compagno di cella e me lo ripete
spesso dicendomi “If I can do anything for you, just let me know!”. “Se posso fare qualsiasi cosa
per te, devi solo farmelo sapere!”
Un paio di giorni fa sono andato nel “quad 1” (l’altra ala di questo stesso dormitorio!) a
recuperare una maglietta che era stata smarrita dalla lavanderia.
Nell’uscire, dopo averla recuperata, sono stato bloccato dalla guardia di turno che mi ha
chiesto “dove vivi?”. Nel “quad 3” gli ho risposto. “Sono andato a recuperare…” non mi ha lasciato
terminare la frase e mi ha detto “Girati!” e, clic, clac, mi ha messo le manette (strette strette) e poi
mi ha fatto sedere sulle scale antistanti il suo “ufficio”. Mi ha lasciato così per tutta la durata del
conteggio, quasi un’ora! Quindi mi ha detto, sottovoce: “Sai che essere in un’area non autorizzata è
una pena passibile di quindici giorni di pozzo?”,”…però con te prima d’oggi non ho mai avuto
problema, e quindi puoi pagare la cauzione di due pacchetti di patatine dallo spaccio… Ti lascio
tempo per pensarci!”. Ero deciso a non cedere all’estorsione. Ce l’ho messa tutta per
autocontrollarmi ed evitare di dirgli ciò che pensavo di lui in quel momento. Alla fine del conteggio
totale si è avvicinato dicendomi: “Devi essere molto popolare, in tanti si sono offerti di pagare la
“cauzione”. Primo fra tutti “Si”!”. Mi ha tolto le manette (avevo le mani blu) e mi ha lasciato
andare. Io non gli ho rivolto né una parola e nemmeno uno sguardo. Non posso denunciarlo al
capitano (potete immaginare che è la mia parola da brigante, contro la sua da forza dell’ordine…)
perché qui la vendetta dei secondini è peggiore di quella dei detenuti!
E assolutamente non voglio che qualcuno di voi intervenga in merito perché mi può solo far
danno! Credo nel Karma, ti meriti ciò che fai! Il giorno successivo è venuta un’ispezione blitz della
zona dedicata alle guardie. Un team composto da colonnello, maggiore, capitano (le camicie
bianche!) ed il warden (capo dell’istituzione), ha setacciato il suo ufficio. Infatti le “camicie
bianche” sanno che spesso sono le stesse guardie che introducono il contrabbando.
Il “mio” secondino era di turno e all’interno di un vano recesso nel pavimento è stato
scoperto un mucchio di posta inevasa, sia in entrata che in uscita! Alcune lettere erano datate 2007!
Decine e decine di “request” (richieste scritte) importanti, mai inoltrate! Quale fosse il motivo
dell’occultazione non è certo. Forse pigrizia o forse protezione (nel caso la request citasse un abuso
di potere da parte delle guardie). La posta non era stata stracciata perché le guardie sanno che i
trustee che lavorano pulendo l’ufficio, spesso ricostruiscono, tipo mosaico, i vari pezzetti per poi
leggerne e divulgarne il contenuto.
La “mia” guardia, ancora con le patatine in bocca, ha subito una solenne lavata di capo che
ricorderà per un bel po’ di tempo, e inoltre c’è il prospetto di una sospensione.
Come diceva Confucio: “Siediti sulla riva del fiume ed aspetta pazientemente di veder
passare il cadavere del tuo nemico!”
Continuo a farvi partecipi della mia vita qui dentro. Vedete che a volte le angherie hanno un
risvolto inaspettato, senza bisogno d’aiuto!
Avrei potuto andare dal capitano di turno cercando di denunciare l’estorsione, perché
d’estorsione si è trattato, anche se erano solo due dollari. Però fare la spia, anche se per una giusta
causa, qui è fuori posto e le conseguenze sono pesanti. I problemi li devi risolvere da solo, oppure
sperare, come in questo caso, che qualcuno dall’alto dia la bacchettata!
Comunque per cautelarmi, e tranquillizzarvi, ho deciso che non andrò più nel quad 1 senza
previa autorizzazione!
Torniamo a cose positive. Ho saputo da Roberto del matrimonio di Andrea, previsto per il
30 di questo mese. Colgo l’occasione per fare i più cari auguri a lui ed alla sua compagna “Lu”, una
meravigliosa donna argentina (ma ormai adottata italiana!) che ha donato, come Andrea, il suo
cuore alla mia causa.
Andrea è il mio capo cent-omila-urione e spero abbia cento anni di felicità!
Senza il lavoro infaticabile di Andrea dubito che saremmo qui a celebrare il raggiungimento
di una cifra tanto elevata! Grazie Andrea, il mio cuore è con te!
Sto cercando di rispondere a tutti coloro che mi scrivono (qualche penna in più non è gran
cosa visto che sono già in bancarotta!). I ritardi sono inevitabili e ve ne chiedo scusa! Non possiamo
contare troppo su questo non proprio infallibile sistema postale!
Fantasticando ad occhi aperti, ho pensato che se ognuno di voi aggiunge un amico (uno
solo) al mese, in un anno saremmo 1.200.000!!! Io spero che nell’arco dei prossimi dodici mesi si
smuoveranno un po’ le acque. Se però dovessi ritrovarmi qui a scrivervi ancora una volta, sappiate
che sarei immensamente onorato di avere un amico in ogni 50 italiani!
L’ultima telefonata con la mamma i ha fatto tanto piacere. Mi ha detto “Chico, la gente mi
ferma per la strada, dandomi baci ed abbracci, dicendomi “Forza Chico!”. Sappiate che questi vostri
gesti di solidarietà, anche i più insignificanti (ai vostri occhi) sono la mia linfa vitale.
Mia madre è orgogliosa di me. Non ha mai dubitato per un solo istante della mia innocenza.
E’ la mia roccia d’oltre oceano!
Con lei e con voi al mio fianco nulla può scalfirmi, ed il mio viaggio verso la libertà si sta
dimostrando meno impervio. Insieme ce la faremo. 100.000 gavette di fuoco che scioglieranno
queste catene per riportarmi nella mia patria, la terra che amo!
Vi voglio tanto bene,
vostro Chico