LA VICENDA GIUDIZIARIA

I PROTAGONISTI DELLA VICENDA

Uno sguardo veloce ai protagonisti della vicenda, in ordine alfabetico: 

BIERMAN DONALD e PERRY PAMELA = I primi avvocati di Chico 

CAMPBELL JOHN = Tenente della polizia di Miami

CARTER CATHERINE = Detective della polizia di Miami

GONZALES CONFESSOR = Detective della polizia di Miami

KNOTT THOMAS = Faccendiere e truffatore tedesco, amico di Anthony Pike

LEE VERONICA = Componente della giuria

LOEWY  IRA = Secondo avvocato, segue Chico durante tutto il processo

MEISMER CHAIVEEx moglie di Thomas Knott

PIKE ANTHONY JOHN = Il padre della vittima

PIKE DALE = La vittima

PLATZER VICTORIA = Il giudice

RUBIN REID ERIC = Il Pubblico Ministero del processo

SCHIAFFO GARY = Uno degli investigatori del caso “Cunanan”, poi assunto dal prosecutor Reid Rubin nel processo contro Chico Forti

TACOPINA JOSEPH detto JOE = Attuale legale di Chico

FORTI GIANNI = Zio di Chico, lo Zio che tutti vorrebbero: combatte, instancabile, al fianco di Chico da 21 anni

L’INCREDIBILE STORIA DI ENRICO “CHICO” FORTI
Prima di questa brutta storia Chico Forti non aveva mai avuto la più pallida idea di cosa significasse avere a che fare con la giustizia.
E prima che l’albergatore Anthony Pike andasse a bussare alla sua porta, a Williams Island di Miami verso la fine del novembre 1997, non sapeva neppure dell’esistenza di quest’uomo, del figlio Dale e di tutti i personaggi che hanno caratterizzato la sua caduta in un baratro senza fine.
Per assurdo questa vicenda, che in seguito ha riempito le cronache, i giornali e le televisioni per anni, si è svolta nel breve periodo di due mesi, e si è conclusa con la tragica fine del figlio dell’albergatore, su una spiaggia di Key Biscayne il 15 febbraio 1998.
Di quell’omicidio è stato ritenuto responsabile Chico Forti ed è stato condannato all’ergastolo, malgrado non sia mai stata provata una sua possibile responsabilità.
Proprio per questa mancanza di esperienza, di fronte al precipitare degli eventi che l’hanno visto coinvolto, Chico inizialmente reagisce  d’impulso mentendo sul suo breve incontro con la vittima (che non aveva mai visto né conosciuto prima in vita sua), senza rendersi conto che ogni parola detta in quel momento gli si sarebbe rivolta contro.
Quando lo comprende, peraltro soltanto il giorno seguente, è ormai troppo tardi e a questo errore non è stato più possibile rimediare in seguito.
Il secondo sbaglio che ha commesso Chico, certamente il più grave, è stato la scelta degli avvocati difensori, che si sono resi incomprensibilmente responsabili di una lunga serie di errori e di omissioni.
Non ultimo quello di aver impedito a Chico Forti di potersi difendere in prima persona al processo negandogli, in seguito, qualsiasi possibilità di ribadire le sue ragioni e la sua estraneità ai fatti.
Il processo negli Stati Uniti, è una sorta di gara dove l’importante è vincere, vincere a tutti i costi, anche a scapito della verità e della giustizia.
Chico, in questo processo, ha perso.
E’ stato condannato alla peggiore delle pene (ergastolo senza condizionale, con possibilità di uscire solo da morto), e a nulla sono valse le successive mozioni di appello per controvertire la sentenza, nonostante le numerosissime prove a sgravio della sua colpevolezza.
Si è sempre sperato che i numerosi documenti tratti dagli atti del processo (che dimostrano inconfutabilmente l’estraneità di Chico dal delitto e quanto siano state infondate le accuse portate al processo), fossero determinanti per rimediare al terribile errore giudiziario.

Per quanto riguarda Chico, chiunque abbia potuto in questi anni visitarlo in carcere può testimoniare con quanta dignità egli affronti da sempre questa terribile situazione.
E’ difficile riuscire a capire come abbia fatto a resistere e come stia resistendo da così tanto tempo, non cedendo alla disperazione o allo sconforto.
“E’ l’amore per i miei figli e l’affetto degli amici che mi aiuta a non perdere la speranza di poter riavere un giorno la mia vita”, ripete sempre a chi glielo chiede.
Ovviamente questo non potrà farlo all’infinito, perché tutto ha un limite e la sua sopportazione è ormai allo stremo.

IL FATTO
Un italiano di Trento, Enrico Forti detto “Chico”, ex campione di windsurf e catamarano e film-maker, dopo un processo durato 24 giorni, il 15 giugno 2000 è stato ritenuto colpevole di omicidio da una giuria popolare della Dade County di Miami, “per aver personalmente e/o con altra persona o persone allo Stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte di Dale Pike”.
La sentenza ha lasciato esterrefatti i presenti e quanti avevano seguito il dibattimento processuale, increduli che una giuria abbia potuto emettere “oltre ogni ragionevole dubbio”, un verdetto di colpevolezza basato soltanto su flebili e confuse prove circostanziali.
Successivamente attente verifiche e valutazioni sulla fondatezza di queste “prove circostanziali” hanno prodotto una tale quantità di dubbi, che il sospetto che i fatti siano andati in modo completamente diverso da come sono stati presentati dall’accusa, è divenuto certezza.
Valutando meticolosamente una per tutte le accuse basate su fatti ed antefatti, si è scoperta una serie infinita di manomissioni delle “prove circostanziali” da parte dell’accusa, con l’unico scopo di ottenere un verdetto di condanna.
GLI ANTEFATTI
“Chico” nasce a Trento nel 1959 dove vive fino al conseguimento della maturità scientifica nel 1978.
In seguito si trasferisce a Bologna per frequentare l’Isef, l’università di educazione fisica.
Fisicamente dotato, si dedica alla pratica di parecchi sport, dedicandosi in particolare al “windsurf” e negli anni ’80 ottiene molti successi a livello mondiale. 
Negli anni ’90 si trasferisce a Miami in Florida, dove intraprende un’attività di film-maker e presentatore televisivo.
In seguito si dedica anche ad intermediazioni immobiliari ed è proprio svolgendo questa attività che conosce un personaggio di nome Anthony Pike, che si presenta come proprietario di un omonimo albergo sull’isola di Ibiza, in Spagna.
Quest’albergo aveva goduto di una certa notorietà negli anni ’80, frequentato da parecchi personaggi del jet-set internazionale, ma in seguito ebbe un declino fallimentare.
Alla fine del 1997, Anthony Pike viaggia alla volta di Miami, ospite di un tedesco di nome Thomas Knott, che da qualche tempo soggiornava a Williams Island, in un appartamento sito proprio sotto l’abitazione di Enrico Forti.
I due erano stati “compagnoni” ai tempi dorati dell’albergo di Ibiza, di cui Knott era un assiduo frequentatore.
Solo in seguito, a cose fatte, si scopriranno i veri profili di questi due personaggi.

In primo luogo, Pike in quel periodo si trovava in estreme difficoltà finanziarie.
Knott era un “intrallazzatore”, condannato in Germania a sei anni di detenzione per truffe miliardarie, sparito durante un periodo di libertà vigilata e ricomparso a Miami (ospite di altri tedeschi) a Williams Island, dove svolgeva un’attività di copertura come “istruttore di tennis”.
Si era introdotto negli Stati Uniti con falsi documenti procuratigli proprio da Tony Pike.
In realtà continuava la sua “professione” di truffatore (25 accuse in poco più di sei mesi a Miami!) e l’ultima fu proprio quella tentata ai danni di Enrico Forti, convocando Anthony Pike a Miami con l’intento di vendere il succitato hotel, sebbene non fosse più di sua proprietà da oltre un anno.
Durante questa trattativa, compare sulla scena Dale Pike, figlio di Anthony, che in passato era stato allontanato dall’albergo di Ibiza per gravi dissapori con il padre e probabilmente anche con Thomas Knott, suo ex compagno di baldorie.
Dale Pike nel momento in cui deve lasciare precipitosamente la Malesia, per motivi non accertati, ricorre all’aiuto del padre, trovandosi in uno stato di necessità, completamente privo di denaro.
Anthony Pike non avendo alcuna disponibilità finanziaria, chiede l’aiuto di Enrico Forti con il quale era entrato in trattative per la compravendita dell’albergo.
Forti dando la sua disponibilità, alla fine di gennaio 1998 paga a Dale Pike il biglietto aereo dalla Malesia alla Spagna.
Quindici giorni più tardi Anthony Pike telefona nuovamente ad Enrico Forti, prospettandogli una sua visita a Miami, questa volta in compagnia del figlio Dale.
Il giorno del loro arrivo viene programmato per domenica 15 febbraio 1998.
Convince nuovamente Enrico Forti ad anticipare il denaro per pagare i biglietti aerei di entrambi.
Alcune e-mail di Dale Pike alla fidanzata Vaike Neeme, una “ragazza copertina”, testimoniano la sua riconoscenza a Chico per l’aiuto ricevuto.
L’ultima è del 14 febbraio 1998 (il giorno prima della partenza per Miami).
In questa e-mail Dale si dice ansioso di conoscere Chico.
In una precedente e-mail Dale le aveva scritto di aver saputo che suo padre, a Miami, stava portando avanti un affare “shaky” (traballante, poco chiaro) e che intendeva confrontarsi con le persone interessate (Thomas Knott?).
Due giorni prima della partenza, Anthony fa un’ultima telefonata ad Enrico Forti, adducendo problemi personali, spostando il suo appuntamento con lui a New York per il mercoledì successivo, 18 febbraio.
Suo figlio Dale, invece, avrebbe comunque viaggiato a Miami, da solo, la domenica 15 febbraio ed Anthony chiede a Forti di andarlo a prendere all’aeroporto per ospitarlo a casa sua.
Forti acconsente, ma dopo il suo incontro con Dale all’aeroporto, quest’ultimo gli chiede di essere portato al parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dove amici di Knott lo stavano attendendo per trascorrere alcuni giorni con loro, in attesa dell’arrivo del padre.

Forti quindi gli concede un passaggio fino al luogo indicato da Dale e lo lascia al parcheggio verso le ore 19 di quella domenica.
Il suo contatto con Dale Pike, mai visto né frequentato prima di quel giorno, è durato circa una mezz’ora.
Il giorno dopo, il 16 febbraio, un surfista ritrova il cadavere di Dale Pike in un boschetto che limita una spiaggia a poca distanza dal parcheggio dove Enrico Forti lo ha lasciato.
Era stato “giustiziato” con due colpi di pistola calibro 22 alla nuca, denudato completamente ma con vicino il cartellino verde di cui viene dotato alla dogana chiunque entri negli Stati Uniti.
C’erano anche altri oggetti personali, per cui fu semplice l’identificazione.
La morte viene fatta risalire tra le ore 20 e 22 del giorno precedente, poco tempo dopo il suo commiato da Enrico Forti.
Viene provato che Enrico Forti alle ore 20 si trovava all’aeroporto di Fort Lauderdale.
Inoltre si potrebbe provare che l’omicidio è avvenuto nella notte tra il 15 e il 16 febbraio, quando Chico si trovava a casa con la sua famiglia.
Contro ogni regola del diritto internazionale al processo l’accusa è cambiata tre volte in corso d’opera.
All’inizio il Forti era indicato come omicida.
Provato inconfutabilmente che non poteva esserlo, la tesi successiva lo indicava come “mandante”.
Caduta anche questa ipotesi, l’ultimo tentativo di coinvolgere Enrico Forti nell’omicidio è stato quello di ritenerlo colpevole di essere stato “colui che ha gestito le canne fumanti che hanno eliminato Dale Pike”, cioè di averlo coscientemente portato all’appuntamento con il suo assassino.
“Lo Stato non deve provare che egli sia l’assassino al fine di dimostrare che sia lui il colpevole”
Su questa ultima assurda teoria è stata pronunciata la condanna.

L'INGANNO
Le accuse mosse contro Enrico Forti si sono basate tutte sul fatto che in un primo momento egli ha taciuto sulla circostanza dell’arrivo di Dale Pike domenica 15 febbraio 1998 e ha omesso la verità sul loro incontro all’aeroporto di Miami.
Nei giorni che seguirono, i fatti hanno dimostrato come Enrico Forti non fosse stato affatto preoccupato della sorte di Dale Pike, non immaginando tutto ciò che era successo. 
Soltanto mercoledì 18, a New York, dove Chico si era recato per l’incontro con il padre, infatti, apprende la notizia dell’omicidio.
Saltato l’appuntamento con Anthony Pike e non avendo più sue notizie, Forti torna immediatamente a Miami ed il giorno seguente, 19 febbraio, si reca spontaneamente al Dipartimento di Polizia, per rispondere ad una convocazione come persona informata dei fatti.
E’ durante questa convocazione – che si rivela poi una trappola e un vero e proprio interrogatorio, essendo lui considerato il maggior indiziato per l’omicidio – che la polizia lo informa falsamente che oltre a Dale, anche il padre Anthony era stato trovato ucciso a New York.
Anthony Pike invece, era vivo e vegeto e sotto protezione della polizia stessa dal giorno precedente.
Terrorizzato dal precipitare degli avvenimenti, Chico fa un terribile errore: nega di aver incontrato Dale Pike.
La sera del 20 febbraio, senza rendersi conto della gravità della situazione, torna alla polizia per consegnare una serie di documenti relativi al rapporto d’affari con il padre della vittima. 
Ingenuamente, si presenta senza l’assistenza di un legale, anche per il consiglio di un ex capo della squadra omicidi da lui conosciuto, che lo aveva assicurato trattarsi solamente di alcuni chiarimenti per aiutare le indagini della polizia.
Presentatosi nella stazione di polizia ritratta immediatamente quanto affermato il giorno prima, dichiara quindi di aver visto Dale e racconta i dettagli dell’incontro. Da un “colloquio informale” quale riteneva Chico, si trasforma in un vero e proprio massacrante interrogatorio di 14 lunghe ore, senza la presenza del suo avvocato.
LE ASSURDE INVENZIONI DELL'ACCUSA
Nell’immediatezza del primo arresto, Enrico Forti viene accusato di frode, circonvenzione d’incapace e concorso in omicidio.
La giuria però è stata fuorviata ed ingannata nel suo giudizio finale perché non è mai stata informata che Enrico Forti in precedenza era già stato completamente prosciolto dalle accuse di frode e circonvenzione d’incapace.
Liberato su cauzione, nei venti mesi che seguirono, era stato infatti scagionato dai tutti i capi d’accusa (otto) che riguardavano la frode.
La stessa giudice che lo aveva prosciolto dalle accuse di frode, cambiò il capo di accusa, facendolo arrestare per omicidio di primo grado a scopo di lucro, usando scorrettamente la truffa come movente nel processo per omicidio.

Riportiamo la traduzione letterale del testo introduttivo della teoria dello stato sulla quale il PM ha fondato le sue accuse.
“La teoria dello Stato sul caso era che Enrico Forti avesse fatto uccidere Dale Pike perché Forti sapeva che Dale avrebbe interferito con i piani di Forti per acquisire dal padre demente, in modo fraudolento, il 100% di interesse di un hotel di Ibiza. Dale aveva viaggiato verso Miami dall’isola di Ibiza in modo che Forti avrebbe potuto “mostrargli il denaro” – quattro milioni di dollari richiesti per la transazione – per l’acquisto dell’albergo di suo padre. Forti semplicemente non lo aveva. Invece, Forti incontrò Dale all’aeroporto e lo condusse alla morte”.
Non c’è una sola parola di verità in queste affermazioni.
Non è vero che Dale Pike, la vittima, costituiva un ostacolo per i piani di Forti di acquistare l’albergo.
Non esisteva alcun contratto da bloccare.
Non è vero che il padre, l’albergatore Tony Pike, era un vecchio malato e disabile, incapace di intendere e volere.
Tutt’altro.
A suo tempo, molte testimonianze lo consideravano un astuto e sveglio uomo d’affari.
D’altronde al processo non è stato presentato alcun documento che comprovasse la sua presunta demenza, né da parte di un tribunale, né di una qualsiasi commissione medica.
Non è vero che Enrico Forti volesse appropriarsi in maniera fraudolenta del 100% dell’hotel.
Anzi si è scoperto che l’albergatore tentava di vendere al Forti un hotel che da molto tempo non era più suo.
Una truffa vera e propria pianificata ai danni di Chico e non viceversa!
Anthony Pike stesso lo aveva ammesso in una deposizione rilasciata a Londra prima del processo, dicendo chiaramente che intendeva rifilare a Chico un “elefante bianco”.
Ma l’accusatore e, inspiegabilmente anche il difensore!, l’hanno tenuto nascosto alla giuria.
Non è vero che Dale aveva viaggiato a Miami “per vedere il denaro contante”, quattro-cinque milioni di dollari, che il Forti avrebbe dovuto pagare: l’accordo di compravendita prevedeva il pagamento nell’arco di tempo di sei mesi e un anno (con scadenza il 30 giugno e il 31 dicembre 1998), parte in contanti, parte in permuta di due appartamenti e parte con l’assunzione dei debiti dell’albergo con le banche.
Non c’era quindi alcuna urgenza per “vedere i contanti”.
Questo “accordo di vendita” completamente fasullo, era stato redatto e sottoscritto da Anthony Pike (sulla carta intestata del suo hotel) e non da Enrico Forti.
Inoltre Dale Pike era perfettamente a conoscenza del fatto che suo padre non era più il proprietario dell’hotel e che l’accordo di vendita proposto a Enrico Forti era completamente falso!
Quindi non c’era alcuna compravendita da bloccare, perché inesistente.
Come si vede, alla base di tutte le accuse, viene evidenziato il movente della truffa.
Invece è vero esattamente il contrario.
Enrico Forti era il truffato e non il truffatore ed il movente era completamente inventato e inesistente.

LA REQUISITORIA DEL PUBBLICO MINISTERO
Giovedì, 15 giugno 2000, ore 10 del mattino.
Il pubblico ministero Reid Rubin ha appena terminato la sua sommatoria, guardando la giuria come se avesse presentato il suo “masterpiece”, un’opera d’arte.
E di un’opera d’arte si è trattato effettivamente, dal momento che è riuscito a costruire e portare avanti un processo senza alcun sostegno probatorio per avallare le sue accuse.
Certo Rubin non ha lasciato nulla all’improvvisazione, visto che ha impiegato ben ventotto mesi per preparare la sua arringa finale.
Un record per i tribunali americani, visto che normalmente qualsiasi processo si è sempre esaurito entro sei mesi dalla sua istruttoria.
Certamente, questo enorme impiego di tempo e di denaro (dello Stato della Florida) deve aver significato molto per la sua carriera o per gli interessi del palazzo, se è riuscito ad ottenere facilmente una serie di rinvii, fino al completamento di questo suo capolavoro.
Indubbiamente, l’artista Reid Rubin ha avuto molti punti di favore per giungere alle sue conclusioni.
Innanzitutto ha avuto l’incredibile vantaggio di pronunciare la sua arringa senza che la difesa potesse replicare, in modo che qualsiasi teoria lui intendesse proporre alla giuria, vera o presunta, basandosi esclusivamente su una fantasiosa ricostruzione dei fatti, non era più contestabile.
Tutto si può dire quando non si corre alcun rischio di essere smentiti!
Logico, quindi, che nella mente dei giurati rimangano impresse più le ultime parole dell’accusa che non quelle della difesa.
A maggior ragione questo si verifica quando l’oratore è particolarmente bravo e non c’è dubbio che Reid Rubin lo sia stato.
Ma la responsabilità più grave della faccenda ricade sugli avvocati della difesa: anche loro conoscevano questa regola.
E allora è normale chiedersi: ma perché concedere questo enorme vantaggio all’accusa e non si è provveduto ad evitare questa trappola per tempo?
Come molte follie di una strategia masochista Enrico Forti non venne mai chiamato a testimoniare per far valere le sue ragioni.
Ecco la disarmante spiegazione data dai legali “Tu hai detto una bugia, sei esposto al massacro di immagine che l’accusatore può dare di te ai giurati. Quindi meglio non rischiare. Inoltre, non essendoci prove, nessuna giuria al mondo potrà emettere un verdetto di colpevolezza nei tuoi confronti!”.
Ovviamente anche l’accusatore se ne è guardato bene dal chiamare Enrico Forti a fornire la sua dicharazione!
Il disegno accusatorio di Reid Rubin, infatti, era proprio fondato su questa possibilità: avere l’ultima parola per convincere una giuria che, come succede nella maggioranza dei casi, può anche essere stata non molto attenta durante il dibattimento.
Tardivamente, durante l’arringa del pubblico ministero, la difesa ha sollevato un’infinità di obiezioni, molte rifiutate, alcune accettate, ma con uguale effetto.
Il giudice, in quasi tutte le occasioni, ha invitato gli avvocati a sollevarle in appello, quell’appello che poi sarebbe stato sistematicamente rifiutato.
IL VERDETTO E LA SENTENZA
Dopo un processo durato 24 giorni, la giuria popolare della Dade County di Miami, lo ha giudicato colpevole “per aver personalmente e/o con altra persona o persone allo Stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte di Dale Pike”.

Giovedì, 15 giugno 2000, ore 14:55.
La giuria è appena rientrata in aula.
La Corte: “Signori giurati, avete raggiunto il verdetto?”
Il giurato Wendel Willis, foreperson della giuria, si alza con un foglietto in mano: “Si, signor giudice”.
La Corte: “Qual è il responso?”
Willis: “Guilty, colpevole di omicidio di primo grado.”
La Corte: “Sig. Forti, la giuria l’ha ritenuto colpevole di omicidio di primo grado. Vuole dire qualcosa prima che io pronunci la sentenza?”
Enrico Forti: I’m speechless (sono senza parole…)”
La Corte: “Allora io la condanno all’ergastolo senza condizionale”

Questo è stato il risultato di un processo il cui verdetto sembra fosse già stato deciso con largo anticipo.
Valutando meticolosamente una per una tutte le accuse basate su fatti ed antefatti, si è scoperta una serie infinita di brogli e manomissioni, mezzi usati dall’accusa con il preciso scopo di ottenere un verdetto di condanna.
A questo punto viene spontanea una domanda: ma gli avvocati della difesa c’erano oppure no?
Era abbastanza elementare smontare delle accuse che non avevano alcun sostegno probatorio. Del loro comportamento si può pensare di tutto. Troppa sicurezza? Faciloneria? Oppure stupidità o addirittura ammanicamento?
Parole grosse, ma da come sono andate le cose ci si sente autorizzati a pensare di tutto.
L’inefficienza dei suoi legali è ritenuta, dai più, la causa principale della condanna di Chico.
Inoltre, come ultima follia di questa strategia suicida, non lo hanno mai chiamato alla sbarra per far valere le sue ragioni e metterlo a confronto con i suoi accusatori!
L’accusa ha avuto praticamente mano libera per dimostrare l’indimostrabile, basando tutta la sua teoria di colpevolezza sull’unica cosa certa di tutta la vicenda: una bugia.
Enrico Forti, infatti, psicologicamente sconvolto dal precipitare degli eventi, mentì alla polizia nell’immediatezza della sua convocazione come persona informata dei fatti, negando di aver incontrato Dale Pike la domenica del suo arrivo a Miami.
Quella sera stessa Dale è stato ucciso.
“Non si mente a qualcuno, affermando di non avere visto colui che si sta cercando, se non perché si sa che questi non tornerà mai più tra i vivi”, dirà l’accusatore nella sua arringa finale.
Parole pesanti per l’orientamento della giuria che era in procinto di ritirarsi in camera di consiglio.

Successivamente, tutti i ricorsi contro la sentenza presentati nei vari appelli sono stati sistematicamente rifiutati senza motivazione.

Ma quale giustizia può impostare un processo e pronunciare un verdetto di condanna basandosi solamente su un così flebile indizio? Perché rifiutare la possibilità di dimostrare la propria innocenza?
Se i fatti sono andati diversamente da come presentati dall’accusa, con quale coscienza si tiene in prigione per tutta la vita una persona? Se si trattasse di un clamoroso errore giudiziario, perché non concedere la possibilità di rimediare a questa ingiustizia?

A Enrico Forti non rimane che leccarsi le ferite, sepolto in un carcere di massima sicurezza, sperduto nelle paludi della Florida.
La scorrettezza dell’accusa, la compiacenza del giudice, la distrazione (o pilotaggio?) della giuria, la superficialità e l’inefficienza della difesa (o collusione?), la falsità di alcuni testimoni, sono tutti anelli di una catena che nessuno, finora, è riuscito a spezzare.
Un fatto è certo: l’abilità strategica del pubblico accusatore ha spostato l’incertezza e la perplessità dei giurati dalla parte dove pendeva la bilancia.

Ventun anni di battaglie legali, impiegati in disperati tentativi di controvertire questa incredibile sentenza, non sono valsi a nulla.

Eppure, Chico è stato condannato come “complice” dei veri responsabili, che peraltro non son mai stati cercati.
Però, fino a quando non si trovano, il caso non dovrebbe mai considerarsi chiuso come invece è stato ufficialmente dichiarato.

I DETTAGLI SCONCERTANTI CHE, PROBABILMENTE, NON SAPETE…

Un primo inquietante aspetto riguarda la cauzione che viene stabilita per Chico Forti di fronte alla condanna di frode: 10 milioni di dollari, nel primo Arthur Hearing del 22 febbraio 1998.

La cauzione più alta mai richiesta negli Stati Uniti per questo tipo di reato! Una bail normale per un reato di frode non supera, infatti, le decine di migliaia di dollari.

Perché ne è stata stabilita una così alta?

Di prassi il primo Arthur Hearing, subito dopo l’arresto, viene fatto ad ogni carcerato in videoconferenza, insieme ad altre decine e decine di richieste di cauzione. Tutti quindi sono a conoscenza della cauzione richiesta per un detenuto, zero privacy.

Immaginatevi come Chico in quel momento diventi preda di tutti gli altri detenuti, nel momento in cui sentono una cauzione così alta!

Reid Rubin, il prosecutor, era ben consapevole della pressione che avrebbe ricevuto Chico in seguito a questa richiesta, nonché dei pericoli a cui era sottoposto.

L’Arthur Hearing, vista l’esorbitante richiesta della cauzione, viene rinviato al 24 febbraio in un’udienza in tribunale.

Rubin adduce come giustificazione il fatto che è la prima volta che si trovano a che fare con un individuo con tante conoscenze internazionali e disponibilità “infinite”.

Questa eclatante situazione viene risolta da Pamela Perry, primo avvocato di Chico, che riesce con un’eccellente presentazione a demolire Reid Rubin commutando la cauzione in un blocco di tutte le proprietà di Chico (10 appartamenti, la partecipazione dell’albergo e tutti i conti bancari: per un ammontare di milioni di dollari) più la confisca di tutti i passaporti  

Alle porte del processo a questa brava professionista viene però offerto un lavoro con una retribuzione ampiamente superiore alla paga del momento. La condizione inderogabile era di dover abbandonare tutti i casi attivi che stava seguendo e, guardate caso, l’unico caso al quale stava lavorando era proprio quello di Chico.

In quel momento viene inserito Ira Loewy, che non faceva parte della squadra degli avvocati ma anzi era un ex-prosecutor.

Un altro aspetto che lascia esterrefatti è che è assolutamente evidente che non c’era e non c’è mai stata la volontà di trovare i veri colpevoli.

Pensate un attimo: siete dei detective, state interrogando l’indagato, questo vi dice di aver visto, per l’ultima volta, la vittima entrare in una Lexus bianca ad un orario preciso.

La prima cosa che fate qual è?

Sicuramente andreste a ricercare i nastri delle registrazioni delle telecamere delle strade limitrofe, dei palazzi, dei locali.

Creereste immediatamente un identikit dettagliato dell’autista della macchina, tappezzereste la città di volantini.

Chico all’incirca alle 18.15 proprio nel momento in cui preleva Dale riceve una chiamata da Bruce Davis, suo amico e avvocato che invita lui e la moglie ad una cena insieme nella zona di Key Biscane. Chico declina l’invito informandolo che aveva appena prelevato Dale e che era in ritardo per andare a prendere il suocero in aeroporto.

La chiamata arriva da una zona a poca distanza da dove era Chico.

La prima cosa che fate qual è?

Andreste certamente ad indagare su questa persona che, essendo Chico un sospettato, potrebbe essere un presunto complice.

La morte di Dale è ricondotta ad un’arma da fuoco, una calibro .22.

Anche qui, cosa fate?

La prima cosa, fondamentale, è fare il guanto di paraffina per vedere se esistono tracce di polvere da sparo!

Secondo voi è stato fatto tutto questo?

Ovviamente no! Tutte le forze sono state impegnate per  tentare di ricondurre il delitto a Chico, anziché scovare il vero colpevole!

LE MOZIONI PRELIMINARI

Nel sistema americano una mozione in limine è una mozione, discussa fuori dalla presenza della giuria, per richiedere l’esclusione di certe testimonianze.

Il giudice Victoria Platzer concede la mozione in limine per escludere dal processo una serie di elementi che sarebbero stati, invece, fondamentali per la difesa.

  1. E’ stato previsto il divieto della difesa di Enrico di rivolgersi ai giurati durante il processo per informarli della possibile pena che avrebbero inferto in caso di condanna. Non era conosciuto infatti dai giurati che il verdetto avrebbe portato alla sentenza dell’ergastolo, dovevano solo dichiarare la sua innocenza o colpevolezza, senza sapere la gravissima pena che sarebbe stata inflitta.
  2. E’ stata negata la possibilità di dimostrare il coinvolgimento di Knott nella vicenda (che nel frattempo aveva firmato un patteggiamento con l’accusa). La giuria infatti non era a conoscenza né dei precedenti penali del tedesco né dei numerosi test della macchina della verità effettuati su di, i cui risultati rimangono a tutt’oggi sconosciuti. Da notare, invece, che il test effettuato su Forti è stato brillantemente superato e ha confermato in modo pacifico la veridicità delle sue affermazioni.
  3. Nell’accordo in limine era poi espressamente previsto che la truffa non potesse essere utilizzata contro Forti, come eventuale motivo o movente, perché egli era stato prosciolto da tutti i capi in questione e per gli stessi, invece, era stato condannato Thomas Knott. Il prosecutor Reid Rubin, assolutamente non rispettando questo accordo, nell’arringa finale utilizza la truffa come argomento principale della sua accusa, senza dire alla giuria che Forti da queste accuse era stato completamente prosciolto.
  4. Non si poteva riferire alla giuria che Tony Pike era un soggetto poco raccomandabile: malato di HIV, infatti, dichiarava tranquillamente di avere sempre rapporti sessuali non protetti, anche con due minorenni, all’età di circa settant’anni.
  5. Non si poteva far sapere della fedina penale COMPLETAMENTE pulita di Enrico. Incensurato, non aveva mai avuto alcun problema con la giustizia.
  6. L’accusa avrebbe potuto menzionare la bugia solo se Chico fosse stato chiamato a testimoniare. Il prosecutor, invece, utilizza la parola “bugiardo” una trentina di volte durante la sua arringa finale, infrangendo così l’accordo.
  7. Era vietato parlare del caso Versace-Cunanan e di conseguenza anche di tutti gli aspetti controversi che hanno determinato un accanimento così grave della polizia nei confronti di Forti. Per esempio non si potevano menzionare gli accordi tra Chico e Gary Schiaffo.  

LE GRAVISSIME BUGIE DELLA POLIZIA DURANTE LA MOZIONE PRELIMINE IN TRIBUNALE, SOTTO GIURAMENTO, SENZA LA PRESENZA DI UNA GIURIA

  1. CONFESSOR GONZALES = Detective della polizia di Miami. Sotto giuramento afferma di aver redatto il verbale alla fine dell’interrogatorio quando si dimostra, invece, che lo stesso viene redatto mesi dopo, sulla sola base dei ricordi dei due poliziotti, dopo essersi consultato con il Tenente Campbell e il Prosecutor Rubin. La firma del detective sul verbale compilato era stata eseguita prima ancora di aver iniziato l’interrogatorio. Il giudice Platzer a riguardo, durante la mozione preliminare, per ben due volte chiede a Gonzales se è proprio sicuro di voler continuare a fornire questa versione. Alla terza richiesta, sventolando con la mano un foglio come a dirgli “attento, qui ho le prove delle tue bugie”, gli prospetta le conseguenze dello spergiuro. Solo a quel punto Gonzales afferma di aver avuto un lapsus: dice che la sua intenzione non era quella di mentire al giudice e quindi confessa di aver firmato il verbale mesi dopo. Anni dopo, quando Chico si trovava presso l’istituto penitenziario di Everglades, un detenuto gli dichiara di essere il cognato di Gonzales. Anche lui era un ex poliziotto e, come tale, confessa a Chico di essere a conoscenza di manipolazioni in diversi casi da parte dello stesso Gonzales che era conosciuto nell’ambiente per questo tipo di scorrettezze. Il Grand jury in America è una giuria anonima che deve decidere, sulla base dei soli fatti presentati dall’accusa, se approvare l’arresto o meno di un soggetto. I fatti che devono essere forniti a questa giuria devono essere assolutamente veri e non ingannevoli. Campbell e Rubin affermano invece al Grand jury che hanno mostrato a Forti i tabulati telefonici del 15 febbraio, e solo in seguito alla visione di questi egli avrebbe confessato di aver prelevato Dale dall’aeroporto. Unico problema: i tabulati, al momento della dichiarazione, non esistevano! Verranno forniti dalla compagnia telefonica solamente un mese dopo e comunque Campbell e Rubin non avrebbero potuto avere i tabulati corretti perché loro, in quel momento, avevano solo i dati di Chico, mentre quella sera lui aveva utilizzato il telefono di Heather, avendo dimenticato il suo a casa.
  2. CATHERINE CARTER = Sergente detective della polizia di Miami, subordinata a Campbell ma supervisore di Gonzales. Nella sera in cui va a prendere Dale all’aeroporto Chico si ferma in una gas station per permettergli di comprare un pacchetto di sigarette. In quella stazione Dale effettua una chiamata presso la cabina telefonica. La Carter fa passare Chico come un bugiardo affermando sotto giuramento che non c’era alcuna chiamata all’orario indicato da lui nei tabulati telefonici di quel giorno. La stessa informazione viene fornita anche al Grand jury. PECCATO che la Detective Carter abbia portato in aula non i tabulati del 15 febbraio 1998, ma quelli dell’anno successivo, quindi del 1999! La detective era al corrente del fatto che questi dati dopo un anno vengono eliminati, non essendo più reperibili. Mentendo e lasciando trascorrere un anno ha quindi messo Chico nell’impossibilità di poter utilizzare delle informazioni fondamentali.
  3. JOHN CAMPBELL = Tenente della polizia di Miami, il corrotto per eccellenza. Dice una bugia esorbitante: non è in grado di effettuare la foto della sabbia, al momento del sequestro della macchina, perché non aveva a disposizione una macchina fotografica. L’automobile di Chico era stata smontata interamente e minuziosamente analizzata, il risultato? Nessuna traccia, niente di riconducibile al delitto. In un primo momento, la macchina una volta ricomposta, viene condotta dallo stesso Campbell, in compagnia di Smylie, un suo amico assicuratore, in un’autofficina. Verranno trovate delle minuscole tracce di sabbia non sufficienti per formare prova per il processo. Si verifica così una situazione paradossale: il giorno prima del processo per una seconda volta Campbell decide insieme all’amico assicuratore, senza autorizzazione, di portare nuovamente l’auto in un garage per cercare altre tracce. Nel tragitto passano però per una spiaggia con sabbia di riporto equivalente a quella nella quale è stato trovato il corpo di Dale. Solo successivamente a questo “tour” non necessario, né lecito, vengono rinvenuti i famosi granelli di sabbia nel gancio traino, inseriti ad arte. [Da ricordare che al processo viene presentata la fotografia di un gancio traino diverso da quello dell’automobile di Chico!!] Di questo materiale tra l’altro non c’è documentazione. Campbell e Smylie vengono separati per essere sentiti, senza lasciare a Campbell il tempo di dire all’amico quale versione fornire.
  • Smylie dice la verità e testimonia che al momento del “ritrovamento” era in possesso di una macchina fotografica che per il suo tipo di lavoro portava sempre con sé, ma non aveva fatto nessuna fotografia, non essendogli stato chiesto da Campbell.
  • Campbell afferma invece che non ha potuto fare le foto perché non c’era una macchina fotografica al momento.
  • Questa confusione di testimonianze e di racconti non convince nemmeno la stessa accusa che, vedendosi bruciata l’unica possibile “prova” per condannare Forti, cambia l’imputazione, definendo Forti non il materiale autore del delitto ma un complice. Nota importante: lo spergiuro di un poliziotto è un reato punito con una pena fino a 5 anni di reclusione, senza possibilità di ritrattare: gli ufficiali di polizia devono dire la verità SEMPRE. Secondo voi, Campbell, è mai stato indagato per questo? Vi sarete già risposti da soli, ma confermiamo quanto già state pensando: NO.

A rinforzare la corruzione di Campbell vi proponiamo le seguenti informazioni:

  • lui, insieme alla madre di Knott, era in combutta per incastrare Chico. C’era infatti un ricircolo di informazioni e lettere tra la madre, Thomas, Tony Pike, Reid Rubin e lo stesso Campbell. Tutto questo per creare artificiosamente delle prove e concordare versioni da portare in processo. Il compagno di cella di Thomas (Rivera), che conosce Chico in seguito ad una breva permanenza insieme in cella, gli conferma che c’era una grande combutta in tal senso.
  • Campbell aveva scritto una lettera a Tony Pike: “Avevo veramente paura che la giuria lo dichiarasse non colpevole perché non aveva abbastanza prove. I prosecutors erano molto incerti sul come procedere e abbiamo dovuto minacciarli affinchè facessero pagare Forti. Forti spenderà il resto della sua miserabile vita in una prigione della Florida, ricordando tutto ciò che ha avuto e tutto ciò che non avrà più.” Mai avrebbe immaginato che Tony in punto di morte, facendosi un esame di coscienza, facesse in modo di far arrivare questa lettera a Chico.
  • Nel ’97 il capitano della polizia Esposito, riguardo ad altri casi, ha fatto rapporto all’ufficio affermando che Campbell confezionava e procurava prove false, dando il via ad un’indagine investigativa su di lui. Stessa situazione anche in un’altra indagine successiva all’incarcerazione di Chico.  

Immaginate l’effetto di questi elementi se fossero stati presentati di fronte ad una giuria e non in un’aula alla sola presenza del giudice, della difesa e dell’accusa.

Immaginatevi se questi assi nella manica Chico avesse potuto utilizzarli al momento giusto, senza sprecarli in una fase del procedimento che, senza che lui lo sapesse, era semplicemente una mera prassi procedurale.

Chico infatti, con riferimento a tutti gli obblighi o divieti sopramenzionati, non ne era assolutamente a conoscenza.

Chico si fidava dei suoi legali: gli avevano assicurato che con gli elementi che avevano (sconosciuti anche a lui e che poi ha suo malgrado scoperto tempo dopo…), il processo non sarebbe nemmeno iniziato!

LE GRAVI IRREGOLARITA’ E LE BUGIE SUL PIATTO DELLA BILANCIA

  1. Partiamo dalla bugia di Chico, la piccola e fatale bugia che dice alla Polizia nel momento in cui gli viene chiesto se è andato o meno a prendere Dale Pike all’aeroporto. I detective, nel momento in cui parlano per la prima volta con Chico, gli mentono. Affermano che anche Tony Pike è stato trovato ucciso a New York, nelle stesse identiche condizioni in cui hanno trovato il figlio. Chico in quel momento, accorgendosi di essere non più una persona informata sui fatti, quanto un vero e proprio indagato e anzi, il sospettato numero uno, si trova spiazzato. In una frazione di secondo deve dare una risposta e istintivamente, ad una breve e rapida domanda della polizia, nega di essere andato a prendere Dale all’aeroporto. Il giorno immediatamente successivo Chico, di sua spontanea volontà, si presenta nel Dipartimento di Polizia per ritrattare la propria dichiarazione e raccontare tutta la verità. E’ in quel momento che la polizia pronuncia la fatidica frase: “Ormai è troppo tardi”, sottoponendolo ad un estenuante interrogatorio che dura più di 14 ore, senza la presenza di un avvocato. Bisogna mettere in luce due aspetti:
  2. Negli Stati Uniti un soggetto è libero di ritrattare le proprie dichiarazioni entro le 24 ore successive, senza essere passibile di spergiuro (reato che invece il Prosecutor Rubin cercava a tutti i costi di affibbiargli). Chico era pienamente all’interno di questo lasso temporale quando si presenta spontaneamente nel distretto: la “bugia” iniziale non doveva essere quindi tenuta in considerazione, essendo stata ritrattata volontariamente in tempo utile.
  3. La prima volta che Chico parla con i detective c’è un’assoluta violazione del “Miranda Warning”: non gli vengono letti i diritti a lui spettanti, gli viene taciuta la sua posizione di indagato e non lo si informa della possibilità di avere un avvocato. Solo il giorno successivo, quando Chico si presenta spontaneamente al dipartimento, gli vengono letti i “Diritti Miranda”. Non, però, al suo arrivo alla stazione, bensì poco prima dell’arrivo del suo avvocato dopo più di 14 ore di interrogatorio. Inoltre, nonostante la ferma richiesta di Forti di avere un legale, questa gli viene negata, violando quindi un suo diritto fondamentale. Di quelle lunghe 14 ore di interrogatorio, tra l’altro, non vi è alcuna traccia. Zero registrazioni, zero videoriprese.  Ricordiamo che la ripresa audiovisiva a Miami è una prassi comune anche per un “ladro di mele”. Secondo voi per un sospetto di reato così grave non avevano accuratamente predisposto delle videocamere o dei registratori? Dove saranno mai finite le riprese???
  1. L’avvocato di Forti, Ira Loewy, era in forte conflitto di interessi perché lavorava come sostituto procuratore per lo Stato in altro processo. Secondo il sistema americano è prevista la possibilità che un difensore ricopra, contemporaneamente, anche la parte dell’accusa in un altro caso, purché ci sia un consenso scritto da parte dell’assistito. Questo consenso, Chico, non l’ha MAI dato. Quando è stato presentata la fotocopia del documento “apparentemente firmato da Forti”,  Enrico non ha potuto presenziare in aula perché era bloccato in carcere per epidemia di orecchioni. Il giudice acquisisce il documento riservandosi di attribuirgli valore solamente dopo la conferma di Forti in aula. Parole buttate al vento, in quanto la dichiarazione del giudice, insieme alla fotocopia del documento (nemmeno l’originale che non è mai pervenuto) vengono sigillate. Questo elemento, la mancata conferma da parte di Forti, sarebbe bastato per invalidare il processo. Purtroppo (per fortuna per l’accusa) avendo sigillato il tutto, nessuno avrebbe mai scoperto nulla. Anche Heather Crane, moglie di Enrico, ha confermato di non essere mai stata messa a conoscenza dell’udienza per discutere del conflitto di interesse, di cui non sapeva nulla. Come lei anche lo Zio Gianni Forti era totalmente all’oscuro. Anche al Consolato Italiano non è mai arrivato l’originale della rinuncia al conflitto di interessi, come invece erroneamente affermava Ira Loewy. L’avvocato di Enrico fa tutto l’opposto rispetto a quello che dovrebbe fare un legale:
  • non informa la giuria che Enrico era stato prosciolto da tutte le accuse di truffa
  • non informa la giuria che Enrico era il truffato e non il truffatore, in base alle ammissioni di Tony Pike
  • non informa Enrico di tutte le mozioni preliminari dell’accusa che escludevano informazioni per la difesa importantissime
  • non informa la giuria, come già accennato, che Enrico era incensurato
  • non chiama a testimoniare Knott
  • non chiama a deporre Enrico, negandogli quindi una delle possibilità più importanti: poter avere l’ultima parola al processo e lasciando Enrico in balia di una vera e propria invettiva di Rubin.

5. Altro aspetto interessante è che durante il processo il prosecutor Rubin dichiara la propria volontà di annullarlo. Per “casualità”, infatti, la sua collaboratrice dice di aver sentito due giurati affermare l’innocenza di Forti. La legge vieta sia per il prosecutor che per la difesa di controllare i giurati. “Figurati se è colpevole, con una moglie, dei figli così splendidi e una carriera lavorativa importante, non può certamente essere stato lui”. Qui Chico si è trovato davanti ad un bivio:

  • Annullare il processo e tornare in carcere, lontano dai suoi figli, in attesa della costituzione di una nuova giuria.
  • Tenere la giuria a patto che il giudice intrattenesse colloqui individuali e separati con tutti i giurati, ricordando loro che parlare durante il processo esprimendo commenti personali fra la giuria era considerato reato. Tutti negano con fermezza le accuse rivolte, ad eccezione di un giurato, il responsabile della radiologia all’ospedale di Maunt Sinai, che afferma di non vedere nulla che leghi il Forti al delitto. Il giudice dopo aver posto la stessa domanda ad ogni giurato separatamente (se avessero parlato fra di loro del caso) comunica che nonostante lo abbiano negato, in caso di risposta affermativa la loro assunzione era incorretta. Qui c’è un aspetto che non si può tralasciare: il giudice dichiarando ciò afferma, implicitamente, che il pensiero del giurato sul fatto che Forti sia innocente, è “incorretto” e di conseguenza il messaggio di lei, che dovrebbe essere super partes, lo crede colpevole.

6. Altra situazione interessante: durante la scelta dei giurati Enrico esprime delle perplessità su un giurato che sembrava essere molto a suo agio e pareva avere sempre una risposta pronta. Vorrebbe escluderlo dalla giuria, ma i suoi avvocati gli consigliano di tenerlo essendo a parer loro il candidato perfetto perché abituato all’ambiente. Solo tempo dopo si scoprirà che è stato soprattutto lui a influenzare e “vessare” Veronica Lee affinché si esprimesse a favore della colpevolezza di Forti.

7. Chi è Veronica Lee? E’ una giurata, all’epoca dei fatti diciannovenne, al suo primo processo. Ai programmi: 48 hours e a Le Iene dopo vent’anni racconta come sono andate veramente le cose durante il processo. Lei era fermamente convinta dell’innocenza di Chico e cercava di battersi per evitare che gli venisse inferta una condanna ingiusta. Però tra pressioni di alcuni membri della giuria, tra orari duri (dalla mattina presto alla sera compresi i weekend), tra la voglia di concludere velocemente il processo a Veronica sembra di sbattere sempre contro un muro. Nessuno vuole ascoltare lei, la ragazzina inesperta che è eccitata per il suo primo processo. Nessuno vuole ascoltare lei, unica giurata che ha avuto il coraggio di confessare a distanza di anni le pressioni che ha subito per pronunciarsi contro Forti e di chiedergli scusa. Invece di arrabbiarsi Chico, dopo aver sentito le sue dichiarazioni, le scrive una lettera di ringraziamento (lettere aperte).

8. GARY SCHIAFFO = ex Capo investigativo della polizia di Miami, commette una gravissima scorrettezza. Egli aveva collaborato alla realizzazione de “Il sorriso della Medusa”,  documentario investigativo di Chico sulla morte di Andrew Cunanan, presunto assassino di Gianni Versace. Schiaffo, capo dell’investigazione nel caso Cunanan, fornisce a Forti dei documenti, segreti, fondamentali (referto medico legale e rapporto di polizia) che creano un grande sospetto nelle indagini effettuate dalla Polizia di Miami sull’omicidio di Versace. Gli mostra la foto del viso di Cunanan al momento del ritrovamento: perfettamente intatto e quindi incompatibile con la ricostruzione della polizia di Miami. Era stato ritenuto infatti un suicidio effettuato con un’arma molto potente, se così fosse stato Adrew Cunanan avrebbe dovuto avere il viso dilaniato, tutt’altra visione rispetto a quella reale. Il detective, prossimo alla pensione, non consegna però a Forti il documento chiave: la foto del viso di Cunanan previsto dall’accordo, non ricevendo, di conseguenza, tutto il compenso pattuito. Si viene a creare quindi una situazione di rancore da parte di Schiaffo nei confronti di Forti. Al termine della carriera di polizia viene assunto dall’ufficio del prosecutor Reid Rubin proprio durante il processo contro Enrico. In questa occasione egli dichiara di conoscere solo superficialmente Chico Forti e, inoltre, di conoscere in modo approssimativo la giudice Victoria Platzer, quando in realtà era suo collega di pattuglia, nonché compagno di banco alla scuola di polizia. “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”: Gary Schiaffo viene poi nel 2010 viene arrestato per abuso di ufficio, corruzione e frode. Nonostante le prove della loro amicizia, anche il giudice Victoria Platzer afferma la sua volontà di non dimettersi, considerando la sua relazione con Schiaffo “approssimativa”. Le prove di questa conoscenza vengono fornite a Chico da un ex comandante di Polizia che era il superiore di Schiaffo e della Platzer. Ex comandante condannato a due sentenze a vita che, una volta diventato un “collega di Enrico” al Dade Correctional Institution, lo avvicina per raccontargli questa scomoda verità. Ricordiamo che questa informazione sarebbe valsa ad invalidare il processo.

9.Un altro aspetto aberrante riguarda la “collaborazione” del notaio di Tony Pike a Ibiza: Le’on Pina. E’ lui che ha redatto il contratto di compravendita dell’albergo, nonché il principale testimone dell’accusa. Dopo essere stato raggiunto a Ibiza dal prosecutor, per rilasciare delle dichiarazioni, invia una lettera a Chico dicendogli di essere assolutamente schifato dall’operato di un prosecutor che: “non cerca giustizia, ma cerca evidentemente in tutti i modi di incastrare il Forti”.  Avere il maggiore testimone dell’accusa che nel momento della deposizione si rivolta contro l’accusa stessa, quale miglior arma per la difesa? Inutile dire che non è andata così: Chico informa il suo avvocato Ira di tutto ciò e, magicamente, il principale teste dell’accusa non viene più chiamato a testimoniare, anzi gli viene esplicitamente intimato di non presentarsi in suolo americano.

10.Thomas Knott nonostante fosse uno dei maggiori indiziati non è mai stato invitato a rilasciare una deposizione, non è mai stato coinvolto nel processo. E’ stato arrestato con una sentenza a 15 anni per truffa ma dopo la condanna di Forti viene rilasciato ed estradato in Germania con un “plea agreement”, quindi un patteggiamento, segreto e di cui nessuno sa n.lla.

11.Cosa diciamo del finto alibi di Knott?

La ex moglie di Thomas, CHAIVE MEISMER, sotto giuramento in occasione dell’intervista de “Le Iene”, sconfessa l’alibi fornito alla polizia: Knott quella sera lasciò la cena per oltre due ore.

L’arma del delitto, come se non bastasse, era una calibro .22, proprio come quella registrata a carico di Thomas Knott e in suo possesso, sebbene pagata da Forti su richiesta del (pensava) amico, durante delle compere in “Sport Authority”, un enorme negozio sportivo. Intercorrevano oltre 50 metri dalla zona in cui Chico stava acquistando la sua tavola da Wake Board, a quella in cui Thomas stava analizzando le armi per il tiro sportivo. Come se non bastasse: l’acquisto dell’arma era avvenuto ben due mesi prima del primo incontro tra Tony Pike e Enrico Forti. Poteva Enrico prevedere, secondo quanto ipotizzato dall’accusa, che avrebbe avuto problemi con i venditori dell’hotel e che quindi avrebbe avuto necessità di utilizzare l’arma, se al momento del pagamento per l’amico nemmeno era a conoscenza dell’esistenza della famiglia Pike?

12. L’ultima atto sconcertante di un processo farsa è l’arringa finale che viene veementemente professata dall’accusa, Reid Rubin. E’ una vera e propria invettiva contro Forti, che viene chiamato più di quaranta volte bugiardo. Rubin riesce a persuadere la giuria della “colpevolezza” di Forti, senza che egli possa controbattere. Ventisette sono i mesi utilizzati dal prosecutor per confezionare ad arte un’arringa decisiva. Enrico non era assolutamente a conoscenza del fatto che qualora non fosse stato chiamato a testimoniare, non avrebbe potuto dire l’ultima parola. Altrimenti, non avrebbe MAI permesso una fine catastrofica come questa. Rubin inoltre affermava che Chico era un importante componente della mafia. Riferiva questa assurdità senza uno straccio di prova, creando un grave pregiudizio per Enrico che ovviamente nulla aveva a che fare con tutto ciò. Pensate però: Rubin era così convinto che Chico fosse un mafioso che poco prima del processo decide di andare in Italia, a Napoli precisamente, in vacanza con la moglie. Secondo voi l’accusatore di un “mafioso”, mette a repentaglio la sua vita e la vita della moglie andando in contro ad un pericolo così grande? O semplicemente questa era solo una delle mille altre bugie che il prosecutor ha detto in tutta questa vicenda?

LE TESTIMONIANZE APPOSITAMENTE OMESSE O VOLONTARIAMENTE AMMESSE.

Partiamo da Tony Pike. Ci sono numerosissime testimonianze che Tony fa a favore di Enrico ma che nessuno mette mai in luce. Chiariamo alcuni punti: quando Tony chiama Chico chiedendogli dell’arrivo di Dale a Miami Chico nega di averlo visto. In quel momento infatti era insieme ad Heather ed era in vivavoce. Ovviamente doveva mantenere la versione che aveva dato alla moglie.

Come mai ha dato quella versione alla moglie? Vi chiederete.

Semplice: Heather non voleva che Dale si fermasse a casa loro, conosceva lo stile di vita del ragazzo che era tutto droga e bordelli, e non voleva assolutamente che entrasse in contatto con i suoi figli. Nel momento in cui Chico va a prenderlo in aeroporto e quando Dale gli chiede di lasciarlo al Rusty Pelican perché deve incontrarsi con gli amici, allora decide di omettere alla moglie l’incontro, così da non farla preoccupare.

Tony poi, preoccupato, richiama Chico che, in assenza di Heather, gli conferma di averlo preso e di averlo lasciato a Key Biscane dove era stato prelevato da una Lexus bianca in cui c’era presumibilmente un suo amico. Tony, sapendo la verità, si tranquillizza.

Durante il processo Rubin anziché raccontare questa versione mostra alla giuria un fax che esprimeva la preoccupazione di Tony perché il figlio non si era fatto sentire.

Peccato che non spieghi assolutamente che il fax Chico non l’aveva ancora ricevuto, a causa delle 6 ore di fuso orario.

Al processo Tony conferma la versione di Chico, cioè che era stato avvertito del fatto che Dale fosse con degli amici a Key Biscane, e a dimostrazione della sua tranquillità c’è una prova inconfutabile: va a New York tranquillamente per incontrarsi con Chico, senza preoccuparsi di andare a Miami ad accertarsi della sorte del figlio.

L’avvocato di Chico durante il processo pone una domanda a Pike: “In tutta sincerità Sig. Pike, Chico Le ha mai rubato dei soldi?”
Lui risponde: “No, non mi ha rubato nemmeno un centesimo”
L’accusatore a quella risposta estremamente a favore di Enrico, immediatamente si rivolge alla giuria dicendo: “Chico, invece, gli ha preso la cosa più preziosa: la vita del figlio”.

Viene utilizzata poi una falsa testimonianza, quella di Abraham Kilani, cognato di Thomas Knott.

Quest’uomo era un informatore della polizia e aveva in passato già patteggiato per salvarsi da una situazione scomoda ed era inoltre il marito della sorella della fidanzata di Thomas, due spogliarelliste.
Kilani era stato fermato perché stava tentando di vendere 30 mila pastiglie di droga ad un agente sotto copertura.

Gli erano stati contestati diversi reati: possesso di armi, uso di armi, vendita di sostanze stupefacenti ecc., sfiorando i 500 anni di reclusione a causa dell’enorme quantitativo di droga in suo possesso e in procinto di essere ceduta.

Kilani alla polizia confessa che Chico l’aveva “assoldato” in precedenza per spaventare un avvocato con cui Enrico aveva una contenzioso civile in atto per la mancata consegna di una cucina.

Kilani ha dunque testimoniato che conosceva bene il modus operandi di Chico.

Si dimostra di contro che Chico, quando Kilani afferma di essere andato dall’avvocato per “chiarire le cose” per conto di Enrico, aveva già pagato tutto quanto stabilito dal giudice in quella causa.

Dopo questa falsa deposizione dai 500 anni circa di pena gli viene inflitta una pena irrisoria: 1 anno.

Da 500 anni ad 1 anno. Vi sembra possibile?

L’accusa sapeva inoltre che Kilani era un delinquente reiterante, ma si è ben guardata dall’avvisare la giuria che quindi era all’oscuro di tutto ciò.

IL GOVERNO ITALIANO
Ora il destino di Enrico Forti è nelle mani del Governo Italiano che ha, finalmente, affermato di voler intervenire per riportarlo nel suo Paese, mettendo fine, dopo ventun anni, a questa straziante agonia.
Le dichiarazioni ufficiali del Ministro degli Esteri Luigi di Maio, del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro, di tutte le altre forze politiche (da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, che hanno presentato mozioni anche in Parlamento Europeo, a Maria Elisabetta Casellati), fanno ben sperare in una tempestiva azione del Governo.

Al momento l’Ambasciatore italiano a Washington Armando Varricchio e il Console italiano a Miami Cristiano Musillo, sono stati ufficialmente incaricati di intrattenere le relazioni con l’attuale Governatore dello Stato della Florida Ron DeSantis.
In attesa di notizie positive per Chico Forti, per la sua famiglia e per i suoi innumerevoli amici, è necessario mantenere alta l’attenzione su questa incredibile, tragica e drammatica storia.